Palazzo Martini
Recentemente restaurato, oggi è usato per le esposizioni e le mostre.
Scheda di dettaglio
Tipico esempio dell'architettura barocca del XVIII secolo molto diffusa in tutto il Salento, il Palazzo (permutato nel 1933 con il castello svevo all'epoca diroccato) ha ospitato fino alla metà degli anni Ottanta il Municipio e fu commissionato nel 1762 da Giuseppe Nicola Carbone, potente gesuita e confessore della regina di Spagna. Recentemente restaurato, oggi al suo interno è allestito il Museo Archeologico di Oria e dei Messapi.
Visitare la nuova esposizione museale, disposta in dieci sale che narrano attraverso reperti autentici, suggestioni audiovisive e continui rimandi al presente, le diverse tematiche esistenziali dei nostri antichi progenitori, significa penetrare i loro segreti
per scoprire, meravigliati, il filo rosso che lega i mitici Messapi di un tempo agli odierni abitatori del Salento.
Si percorre, letteralmente, la terra tra Jonio ed Adriatico, con tutte le sue città e villaggi, e ci si imbatte nel plastico di Hyria alla ricerca della reggia di Arta e del tempio sull’acropoli, del santuario di Demetra, della triplice cinta muraria, delle fornaci, dell’acquedotto, delle necropoli; si calpesta il grande mosaico dei leoni nella sala regia e si ammirano le mense imbandite; si aprono i depositi votivi del santuario rupestre con i doni di piccoli e grandi; riappaiono dalla oscurità le dee con i loro riti e le loro peculiarità; insomma tutto induce il visitatore ad una full immersion nel passato che stupisce, stordisce, emoziona.
Gli usi, i costumi, le tradizioni, le culture si disvelano nei superbi corredi funerari, nelle scritte sui cippi, nella ricchezza dei depositi votivi, nella varietà del vasellame, nella raffinatissima arte decorativa, tra geometrico e figurativo, nella diversità dei materiali, bronzo, avorio, paste vitree, patine dorate per una narrazione che sviluppa nel tempo e nello spazio, supportata da una cartellonistica congrua e appropriata.
Riaffiorano nei rari esempi di scrittura, ma soprattutto nella produzione delle terre cotte le credenze religiose dei nostro progenitori che si concretizzavano soprattutto nelle figure, sviluppate dalla madre terra, di Demetra, Persefone e Afrodite, con le simbologie correlate, anch’esse derivate dal mondo della natura. Ad esse si offrivano melegrane, fichi, e soprattutto pasta di grano, in varie forme, e ad esse si rendeva grazie con centinaia di ex voto che il suolo ci ha restituito e continua a restituirci.
I soli magnifici reperti provenienti da Monte Papaplucio con le loro curiosissime restituzioni valgono una visita al nostro Museo per scoprire il più antico prototipo di tarallino pugliese, ritrovato carbonizzato, o la più arcaica raffigurazione di Odisseo e di Circe, a testimonianza di una cultura messapica, non ancora del tutto nota, tutt’altro che periferica rispetto alle altre etnie italiote.
Al visitatore attento non sfuggiranno alcune unicità come i vasi a placchetta, la corona a serto d’ulivo, il pettine istoriato, il grande cratere attribuito alla bottega del pittore del Louvre accanto agli strigili per atleti, ai tintinnaboli e le bambole per i più piccoli, agli unguentari e agli ornamenti per le signore, agli elmi ed i cinturoni per i guerrieri che costituiscono la panoramica, finora più completa, dell’esperienza storica esistenziale dei Messapi, nostri avi, i cui riverberi si possono scorgere, a saperne leggere i segni, nei riti e nelle usanze del Salento moderno.
tà; insomma tutto induce il visitatore ad una full immersion nel passato che stupisce, stordisce, emoziona.
Gli usi, i costumi, le tradizioni, le culture si disvelano nei superbi corredi funerari, nelle scritte sui cippi, nella ricchezza dei depositi votivi, nella varietà del vasellame, nella raffinatissima arte decorativa, tra geometrico e figurativo, nella diversità dei materiali, bronzo, avorio, paste vitree, patine dorate per una narrazione che sviluppa nel tempo e nello spazio, supportata da una cartellonistica congrua e appropriata.
Riaffiorano nei rari esempi di scrittura, ma soprattutto nella produzione delle terre cotte le credenze religiose dei nostro progenitori che si concretizzavano soprattutto nelle figure, sviluppate dalla madre terra, di Demetra, Persefone e Afrodite, con le simbologie correlate, anch’esse derivate dal mondo della natura. Ad esse si offrivano melegrane, fichi, e soprattutto pasta di grano, in varie forme, e ad esse si rendeva grazie con centinaia di ex voto che il suolo ci ha restituito e continua a restituirci.
Contatti e recapiti
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Orari di apertura
Tutti i giorni dalle ore 9.00 alle ore 19.30
L'ingresso, cusa emergenza Covi-19, è contingentato a 5 persone per volta, munite di mascherina.