Federico II promotore di giustizia

Federico II e la giustizia
Federico II e la giustizia

L'opera legislativa presentata ai Vassalli riuniti a Melfi nel 1231 da Federico II e intitolata LIBER CONSTITUZIONUM REGNI SICILIAE (più tardi chiamata Liber Augustalis, impropriamente, perché, pur essendo imperatore egli promulgava il Codice quale Rex Siciliae) ebbe più di un motivo ispiratore, oltre a quello "politico" di affidare lla forza del diritto il ristabilimento dell'ordine conquistato con la forza.

Intanto era indispensabile la ricostruzione del regno attraverso la creazione di uno stato modello; e, quindi, si presentava la necessità (come si evince dal proemio) di riaffermare con norme giuridiche correttive delle umane azioni, l'autorità del Principe, anche quale tutore della comunità cristiana, sui conflitti e sulle discordie, conseguenze della disobbedienza e del peccato commessi dall'uomo con la scoperta dell'esistenza del male; consequenziale era l'esigenza di promuovere la giustizia per indirizzare la società verso comportamenti virtuosi, realizzando principi ordinamentali che attuavano presupposti etico-religiosi.

Altra esigenza di fondare un corpo normativo sorgeva dal bisogno di dare di dare sistemazione alla frantumazione di regole e giurisdizioni, utilizzando fonti romane, canoniche, feudali e conservando elementi di diritto consuetudinario germanico accnto a usanze italiche. Anhe la isituzione nel 1224 dello Studio universitario di Napoli, prima Università di Stato in antagonismo a quella di Bologna (con la proibizione ai sudditi di recarsi a studiare fuori dal regno e l'invito a quanti "stadere voluerint in aliqua facultate" a recarsi a Napoli) era finalizzat a dare organicità alle ricerche giuridiche.

Pertanto le Costituzioni, pur nel loro eclettismo giuridico, rinvenendosi nelle norme oltre a origini romane, anche bizantine, longobarde, normanne, canoniche, sono improntate a pragmatismo giuridico e rivelano nelle materie processuali (...omissis...) un grandissimo senso della giustizia e della uguaglianza di fronte alla legge. Scriveva Federico II (che era primo ispiratore e autore con i suoi consiglieri Pier delle Vigne e Jacopo di Capua), traducendo dall'originario testo latino: "Vogliamo perciò che tutti i nostri sudditi sappiano, in base ai termini di questa legge, che noi pesiamo sulle nostre bilance il diritto di ciascuno alla giustizia, insistiamo che nessuna che nessuna distinzione debba esre fatt tra gli individui nel giudizio dei tribunali; la giustizia va messa in atto con ugual forza per ognuno, sia questo un franco, un romano o un longobardo, sia querelante o convenuto" (Cost. II, 17).

Fu potenziata la qualità della figura normanna del "giustiziere" il quale non poteva essere nominato in una provincia ove avesse possedimenti e al momento della assunzione dell'incarico doveva giurare di salvaguardare le esigenze dei querelanti, di agire con rapidità al fine di pronuniciare un giusto verdetto "con Dio e la giustizia davanti agli occhi".

Tali principi anticipano i moderni criteri della terzietà del giudice, del giusto processo, della celerità nella soluzione delle cause, della efficienza nella amministrazione della giustizia. I concetti di uguaglianza delle leggi per tutto il territorio e di tutti davanti alla legge costituiscono rivoluzionarie novità anche se la legge si identifica con l'arbitrio e la volontà del sovrano, che si promuove assoluto principe della legalità.

In tale spirito della tutela e difesa dei diritti e delle garanzie nel processo era naturale conseguenza la valorizzazione della funzione e dell'etica degli Avvocati, che ebbero nel regno "grandissima reputazione" e i cui compiti e attività costituirono oggetto di particolari norme che li regolavano, e che risultano ancora attuali: "Quel savio principe colla costituzione advocatorum chiamò il loro ufizio utile e necessario. Volle, perciò, che fossero esaminati da' Giudici della sua Gran Corte, ed approvati da lui per potere a nome de' clienti arringare, e piatire: e lo stesso ordinò per gli avvocati delle udienze, rette allora da' giustizieri provinciali. E come per l'ordinario i disordini dan cagione alle leggi, così è da credersi che allora avessero gli avvocati tradita la rettitudine enettezza del loro uffizio; per cui lo stesso Federico II, coll'altra costituzione advocatos comandò che prima di cominciar l'avvocazìa prestassero giuramento di difendere i clienti fide, veritate et sine aliqua tergiversatione; che si istruiscan del fatto, non alleghino contro la propria coscienza; non accettino cause disperate; e lascino il patrocinio di quella, che a principio credute da esso loro giuste, trovassero ingiuste nel proseguimento del giudizio.

Vietò per tanto alla parte rigettata da un avvocato per motivo di aver conosciuta irragionevol la lite, di andare ad un altro: proibì le convenzioni de quota litis, e l'aumento dell'ononrario in proseguimento del giudizio; e comminò la pena della privazione dell'uffizio con nota d'infamia, e di tre libbre di oro". (Giovanni Domat. Le leggi Civili nel loro ordine naturale, Napoli 1839, Parte I, Libro IV, Tit. VII. Osservazioni dell'Avv. Vincenzo Aloj, pagg. 189-190). Il rispettabile ceto degli Avvocati, selezionato e preparato, fu portato a un alto grado di perfezione nella difesa delle cause, con l'eccellenza della dottrina, con l'adeguatezza dei consigli, con la nitida scelta nelle allegazioni difensive, con la singolarità della loro eloquenza.

Testo di di Augusto Conte (Presidente Ordine Provinciale Avvocati - Brindisi)

 

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